Illustrazione per il racconto "Manrico" di Franco Patruno.
..."faceva sempre bella figura all’angolo dei “4 S”, il gioco d’angoli di presso al Castello Estense il cui nome, senza farlo apposta, alludeva ed allude alla famigerata esse, ineliminabile perno intorno al quale Zurzìn, dicitore dialettale senza inibizioni, e la compagnia della Straferrara giostravano le loro tradizionali performance. C’era anche Gianni Azzalli, magro e finissimo, che chiamavamo Ago per un’asciuttezza che però l’accostava al misterioso fascino di Montgomery Clift. Franchino invece era sempre vestito di bleu con impeccabile cravatta e sciarpa di seta bianca. Solo d’estate, con 37 gradi all’ombra, cedeva al volgo con camicette mezze maniche, di quelle che normalmente riteneva volgari. Io, Goberti e Bonora, amavamo la provocazione: cravatta di flanella tagliata a metà. L’esibizione, che non mancò di suscitare l’interesse del gentil sesso, fece epoca diventando quasi una moda."...
01 January 2006
Il corso di filosofia
Illustrazione per il racconto "Il corso di filosofia", di Franco Patruno.
..."Una frase rimase celebre: siccome dal campetto, mentre si svolgeva una partita di pallone, si udivano improvvise urla quasi inumane, Don Aldo, con uno scatto d’orgoglio che assumeva su di sé secoli di tradizione ontologica, siglò questa affermazione: ”L’aula di Metafisica dovrebbe essere al centro del campo di grano!” E così, tra un “passa, barbagiàn” e un “fat tusàr ti e to surèla” per un cross sbilenco, risultava complesso spiegare la terza tesi sul rapporto tra causa ed effetto o tra sostanza e accidente. “Fat tusàr ti ecc.. ecc..” è un’affermazione apodittica che non ammette repliche in forma di sillogismo."...
..."Una frase rimase celebre: siccome dal campetto, mentre si svolgeva una partita di pallone, si udivano improvvise urla quasi inumane, Don Aldo, con uno scatto d’orgoglio che assumeva su di sé secoli di tradizione ontologica, siglò questa affermazione: ”L’aula di Metafisica dovrebbe essere al centro del campo di grano!” E così, tra un “passa, barbagiàn” e un “fat tusàr ti e to surèla” per un cross sbilenco, risultava complesso spiegare la terza tesi sul rapporto tra causa ed effetto o tra sostanza e accidente. “Fat tusàr ti ecc.. ecc..” è un’affermazione apodittica che non ammette repliche in forma di sillogismo."...
Carletto
Illustrazione per il racconto "Carletto", di Franco Patruno.
..."Un giorno, mentre accompagnavo i ragazzi in chiesa, Carletto, un dodicenne che avevo raccolto quando ancora, accanto al mercato frutticolo, c’erano alcuni carrozzoni che fungevano da abitazione, mi chiede se potevo confessarlo. Questo non mi era mai capitato. Risposi, alquanto imbarazzato, che non ero prete. La risposta fu veloce e subitanea: “Che peccato….da te mi sarei confessato volentieri.” Quel tardo pomeriggio finsi noncuranza, ma faticai ad essere spontaneo. Se ne accorse don Busi che, pur con una delicatezza che la diceva lunga sul suo rispetto della libertà, mi chiese cosa mi era capitato. Gli esposi il fatto e il mio turbamento. “Ne riparleremo, solo se vuoi, con calma”, mi disse sorridendo. Non ero per niente entusiasta di una possibile ipotesi di mutamento di vita. Mi sembrava, allora, che se avessi osato cominciare a riflettere seriamente, mi sarei trovato d’innanzi ad un aut-aut. Non solo, cioè, abbandonare la ragazza – che allora si diceva ancora fidanzata e non ideologicamente compagna o camerata – ma pure gli studi d’arte, la passione, per il cinema e gli articolini cha già d’allora scrivevo per qualche pagina locale."
..."Un giorno, mentre accompagnavo i ragazzi in chiesa, Carletto, un dodicenne che avevo raccolto quando ancora, accanto al mercato frutticolo, c’erano alcuni carrozzoni che fungevano da abitazione, mi chiede se potevo confessarlo. Questo non mi era mai capitato. Risposi, alquanto imbarazzato, che non ero prete. La risposta fu veloce e subitanea: “Che peccato….da te mi sarei confessato volentieri.” Quel tardo pomeriggio finsi noncuranza, ma faticai ad essere spontaneo. Se ne accorse don Busi che, pur con una delicatezza che la diceva lunga sul suo rispetto della libertà, mi chiese cosa mi era capitato. Gli esposi il fatto e il mio turbamento. “Ne riparleremo, solo se vuoi, con calma”, mi disse sorridendo. Non ero per niente entusiasta di una possibile ipotesi di mutamento di vita. Mi sembrava, allora, che se avessi osato cominciare a riflettere seriamente, mi sarei trovato d’innanzi ad un aut-aut. Non solo, cioè, abbandonare la ragazza – che allora si diceva ancora fidanzata e non ideologicamente compagna o camerata – ma pure gli studi d’arte, la passione, per il cinema e gli articolini cha già d’allora scrivevo per qualche pagina locale."
Dalla finestra il sogno
Illustrazione per il racconto omonimo di Franco Patruno, tratto da "Quando ebbi una Duna", Book editore.
..." Non che un indizio di realtà non fosse presente nel tema. Ad esempio: un giorno, intorno ad una via adiacente alle mura degli Angeli, vidi una bambina affacciarsi da una piccola finestra al secondo piano. Il silenzio era totale perché erano le tre del pomeriggio di un Luglio assolato e rovente. La puera, ma che sembravami un angelo tornito (di quelli corposi e svolazzanti del barocco romano), mi fissava. Io avevo una maglietta alla marinara, il ciuffo sulla destra senza molletta e calzoncini corti rossi porpora, ad anticipare effetti della Pop art in terreo periodo di neorealismo dalla sindacale piega amara. Rimasi pietrificato ad occhi spalancati. Pure lei, dietro una tendina dai ricami maliziosi, mi fissava senza sorridere. Ripensandoci ora, tale simmetria di sguardi metafisici poteva apparire fredda, senz’anima, aliena. Ma nessuno dei due, cioè io che non muovevo labbro e la fanciulla ipostatizzata tra tenda e vetro, aveva visto il film fantascientifico in tre dimensioni all’Apollo."...
..." Non che un indizio di realtà non fosse presente nel tema. Ad esempio: un giorno, intorno ad una via adiacente alle mura degli Angeli, vidi una bambina affacciarsi da una piccola finestra al secondo piano. Il silenzio era totale perché erano le tre del pomeriggio di un Luglio assolato e rovente. La puera, ma che sembravami un angelo tornito (di quelli corposi e svolazzanti del barocco romano), mi fissava. Io avevo una maglietta alla marinara, il ciuffo sulla destra senza molletta e calzoncini corti rossi porpora, ad anticipare effetti della Pop art in terreo periodo di neorealismo dalla sindacale piega amara. Rimasi pietrificato ad occhi spalancati. Pure lei, dietro una tendina dai ricami maliziosi, mi fissava senza sorridere. Ripensandoci ora, tale simmetria di sguardi metafisici poteva apparire fredda, senz’anima, aliena. Ma nessuno dei due, cioè io che non muovevo labbro e la fanciulla ipostatizzata tra tenda e vetro, aveva visto il film fantascientifico in tre dimensioni all’Apollo."...
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